di Alessandra Schofield
Il Garante per la Privacy mette in guardia i genitori: condividere online i contenuti che riguardano i propri figli – il cosiddetto sharenting, neologismo derivante da share (condividere) + parenting (genitorialità) – non solo è pericoloso, ma può anche preparare il terreno a futuri conflitti con la prole.
Le immagini e i video pubblicati online possono infatti essere utilizzati – spiega l’Autorità di Vigilanza – per fini pedopornografici, ritorsivi o comunque impropri da parte di altre persone.
La condivisione di storie e dati tramite i quali si può risalire a dati personali importanti, così come la geolocalizzazione, possono essere estremamente rischiosi ed esporre ad attività illecite di varia natura.
Bisogna ricordare che nel momento in cui si socializza qualsiasi materiale, anche audiovisivo, se ne perde di fatto il controllo e può essere stravolto e modificato.
Basterebbe questo per convincerci ad evitare di postare le foto e i video dei pargoli, ma c’è di più.
Lo sharenting è irrispettoso del diritto alla riservatezza dei bambini, che – seppur piccole – sono comunque già persone. Non è detto che un domani, una volta cresciuti, i nostri figli e le nostre figlie apprezzino che la loro vita privata e le loro immagini siano state messe a disposizione di chiunque. È anche possibile che non si riconoscano nella reputazione che abbiamo creato di loro senza chiedere prima il permesso.
E dunque, facciamone a meno.
Se proprio l’impulso è irrefrenabile, ecco cosa suggerisce il Garante:
- Rendiamo irriconoscibile il viso del minore, “pixelandolo” o comprendolo con una emoticon (o faccina)
- Dedichiamo tempo ed attenzione alle impostazioni privacy sui social network, limitiamo fortemente la visibilità delle immagini e selezionando accuratamente le persone che possono accedervi
- Non creiamo account social dedicati ai minori