di Alessandra Schofield
Il ceppo nel camino la Vigilia di Natale Una tradizione antica come l’uomo. Come avrai sicuramente notato leggendo questo articolo sulle antiche usanze legate al Natale nelle varie zone della Lombardia, c’è un tema ricorrente: l’accensione del ceppo nel camino la sera della Vigilia.
Questa tradizione ha origini talmente antiche da perdersi nella notte dei tempi, ed è una storia davvero interessante. Facciamo allora… molti passi indietro.
Probabilmente sai già che proprio in questi giorni, nel nostro emisfero (quello settentrionale o boreale, che comprende Europa, Asia, Nord America e parti dell’Africa settentrionale), si verifica il solstizio d’inverno. Si tratta di un evento astronomico annuale che cade tra il 20 e il 23 dicembre e sostanzialmente consiste in questo: la Terra ruota su sé stessa attorno al proprio asse (cioè la linea immaginaria che passa per il Polo Sud e il Polo Nord) e, contemporanemente, attorno al Sole; l’asse del globo terrestre, però, è inclinato, cosicché in alcuni periodi dell’anno riceviamo più luce dal Sole, mentre in altri periodi ne riceviamo meno. Il solstizio d’inverno è, appunto, il giorno in cui la parte di Terra in cui ci troviamo (cioè l’emisfero nord) è inclinata più lontano dal Sole. Per questo motivo, in questa occasione vediamo il Sole più basso nel cielo rispetto a tutti gli altri giorni dell’anno e abbiamo la giornata più corta e la notte più lunga dell’anno. Dopo il solstizio d’inverno, il Sole comincia lentamente a “risalire”- sempre dal nostro punto di vista – nel cielo e le giornate iniziano ad allungarsi un po’ alla volta, fino ad arrivare all’estate.
Per i nostri antenati, sopravvivere all’inverno non era affatto una cosa scontata e la loro vita era strettamente legata alla natura e a tutte le sue manifestazioni, su cui sentivano di non avere alcun controllo. In un tempo in cui tutto era incerto, nel cuore più buio e più freddo dell’inverno ai nostri progenitori non restava che invocare il ritorno della luce e del sole, e dunque della vita.
Così, il solstizio d’inverno era un momento molto importante.
Le antiche popolazioni germaniche e scandinave lo celebravano come Yule, dall’antico inglese “ġéol” (pronunciato yeol), a sua volta è collegata all’antico norreno “jól” o “júl”; durante questa festa, un grosso ceppo (lo Yule Log) veniva bruciato per 12 giorni nel camino, quale simbolo di luce e calore, e i resti venivano conservati per proteggere la casa nei mesi successivi. Tutti conoscono, almeno di fama, Stonehenge (3000-2000 a.C.), nel Regno Unito. Ebbene, il sito megalitico di Stonehenge è allineato con la posizione del Sole al solstizio d’inverno – così come la tomba a camera di Maeshowe (2800 a.C.) nelle Isole Orcadi, in Scozia – e secondo diverse ricerche antropologiche qui si svolgevano riti solari volti a celebrare (e a invocare) il ritorno della luce. Nella Roma antica si celebravano i Saturnalia in onore di Saturno, dio dell’agricoltura (allora come oggi indissolubilmente legata al ciclo delle stagioni); la festa prevedeva scambi di doni, banchetti e un temporaneo sovvertimento delle gerarchie sociali. In Cina, il festival Dongzhi (“venuta dell’inverno”) si celebra attorno al 21 dicembre e deriva dalle tradizioni confuciane e taoiste, che vedono lo yin (oscurità) raggiungere il suo massimo e iniziare a cedere il passo allo yang (luce). Nella cultura giapponese, il solstizio è un momento per fare bagni di agrumi profumati, per la purificazione e la fortuna. I Maya avevano costruito osservatori astronomici come Uxmal, per seguire il movimento del Sole, e il solstizio segnava l’inizio di un nuovo ciclo agricolo. Gli Aztechi celebravano il dio Huitzilopochtli, divinità del Sole e della guerra, con sacrifici e offerte per assicurarsi che il Sole rinascesse. I Pueblo (nel Sud-Ovest degli Stati Uniti) celebrano la danza del Soyal, un rito che prevede preghiere e offerte per il ritorno del Sole, e nel Grande Nord, dove l’oscurità domina per mesi, gli Inuit segnano il ritorno graduale della luce con una molteplicità di riti e tradizioni. Nelle regioni slave, il solstizio d’inverno era celebrato con il Koliada, che includeva canti rituali (kolyadki), falò e offerte alle divinità solari.
La figura di Santa Lucia (13 dicembre) rappresenta una delle connessioni più evidenti in Italia con il simbolismo del solstizio d’inverno. Il nome Lucia deriva dal latino “lux”, che significa luce. Nelle antiche tradizioni italiane, soprattutto nel Nord, Santa Lucia è considerata la portatrice della luce nel momento più buio dell’anno e non è un caso che la sua festa di Santa Lucia in passato coincidesse con il solstizio secondo il calendario giuliano. Ma anche le tradizioni italiane legate al Natale mostrano forti analogie con quelle europee più antiche connesse al solstizio d’inverno. Non solo il ceppo della Vigilia, dunque, o le luminarie che in questo periodo addobbano le vie delle nostre città, ma anche l’utilizzo di piante sempreverdi come l’abete, il vischio, l’agrifoglio, rappresentano la continuità della vita anche nel periodo meno propizio alla vita stessa e la celebrazione del ritorno della luce.
E per concludere: il Natale cristiano è stato ufficialmente fissato al 25 dicembre nel IV secolo d.C. durante il regno dell’imperatore romano Costantino e successivamente consolidato da Papa Giulio I. Prima del cristianesimo, questa data era dedicata al Dies Natalis Solis Invicti (il Giorno della Nascita del Sole Invitto), introdotto dall’imperatore Aureliano nel 274 d.C. per segnare il ritorno del Sole dopo il solstizio d’inverno e la vittoria della luce sulle tenebre. La celebrazione del Sole Invitto era particolarmente popolare tra i seguaci delle religioni solari, come il culto di Mitra, che aveva una forte diffusione nell’Impero.
Quando accendiamo le luci del nostro albero di Natale o le candele sulla tavola preparata per la cena della Vigilia o del 25 dicembre o il fuoco nel camino o celebriamo la nascita del Dio bambino, stiamo onorando una tradizione e un rito che affondano davvero le loro radici nella notte dei tempi.