di Alessandra Schofield
Eurispes: il nostro sistema sanitario ha la “febbre”. Secondo il 2° Rapporto sul Sistema Sanitario italiano “Termometro della Salute” recentemente pubblicato da Eurispes, da almeno quindici anni a questa parte le risorse che i vari Governi hanno dedicato al SSN hanno subito progressive decurtazioni, per far fronte alla necessità di risistemarei conti pubblici. In particolare, le sanità regionali hanno risentito di questi tagli con conseguenti ricadute negative sulle prestazioni ai Cittadini. Mentre diminuisce la spesa pro capite per la Sanità pubblica, aumenta quella cosiddetta out of pocket, ovvero pagata di tasca propria dagli Italiani: nel 2019 – anno che Eurispes considera “spartiacque” in quanto l’ultimo prima della pandemia – si attestava attorno ai 40 miliardi di euro, di cui solo circa il 10% intermediato dal sistema assicurativo.
In questo articolo abbiamo già parlato del progressivo invecchiamento del personale sanitario, che il Report riconferma, denunciando che però ancora non viene effettuata un’adeguata programmazione della formazione di nuovi medici e nuovi infermieri la quale, come noto, prevede tempi significativi: 10-12 anni per un medico specializzato e 5 anni per un infermiere. Attualmente, oltre la metà dei medici hanno tra i 55 e i 75 anni, e i medici under 35 sono solo l’8,8% del totale. Entro il prossimo decennio, quindi, si assisterà a carenze importanti nella medicina di base anche in termini di personale infermieristico che, a sua volta, si ripercuoterà negativamente sui tempi di attesa per l’erogazione dei servizi.
Il progressivo depauperamento del settore sanitario in termini di personale, è ulteriormente aggravato dal fatto che le retribuzioni nel pubblico sono notevolmente inferiori rispetto a quelle degli altri paesi dell’Europa Occidentale e, nel caso degli infermieri, equiparate a quelle di qualsiasi lavoratore medio. L’attrattività, quindi, è scarsa.
Avviene così che – a fronte di liste di attesa che vanno allungandosi in modo esponenziale – gli Italiani debbano spendere personalmente per accedere alle prestazioni e/o acquistare farmaci, o rivolgersi alle strutture pubbliche di altre Regioni non trovando risposta alle proprie necessità nel territorio di residenza (la cosiddetta “mobilità sanitaria”, in crescente aumento). A volte, però l’indisponibilità delle strutture sanitarie costringe a rinunciare a prestazioni e/o interventi.
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