Ultimamente sentiamo sempre più spesso parlare di Metaverso come di un qualcosa già molto prossimo. Cerchiamo quindi di capire un po’ meglio di cosa si tratta.
Per quanto il termine stia diventando attuale solo ora, in realtà il concetto di “Metaverso” nasce addirittura nel 1992, con il romanzo Snow Crash di Neal Stephenson.
Il nome – derivante dalla combinazione di “Meta” e “Universo” – intende trasmettere il senso di un qualcosa che “va oltre l’universo”.
E in effetti, nella sua accezione più estesa, il Metaverso è un mondo virtuale, universale e immersivo, che combina diverse tecnologie come la realtà aumentata, la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale, nel quale gli utenti – sotto forma di avatar – si muovono ed interagiscono utilizzando dispositivi appositi, come cuffie e visori.
Va da sé che le possibilità sono infinite: idealmente, il Metaverso abbatte le distanze fisiche tra luoghi e persone, e può combinare ambienti reali e virtuali. Si può studiare, lavorare, viaggiare, giocare, navigare tra le stelle. È affascinante, ma allo stesso tempo spaventoso.
Il distanziamento sociale imposto dalla pandemia, con tutto il suo collaterale di didattica a distanza e/o smart working, ci ha insegnato che è fondamentale avere l’opportunità di interagire anche virtualmente, ma l’eccesso può comportare conseguenze a livello psicologico i cui strascichi sono in molti – soprattutto ragazzi e adolescenti – a portarsi ancora dietro e forse ancora non ne abbiamo pienamente compreso la portata.
La possibilità di “andare ovunque, senza muoversi di casa”, di costruirsi un avatar completamente diverso da un sé che magari non ci piace, o non riteniamo del tutto adeguato, può sferrare il colpo di grazia alle nostre capacità relazionali, riducendo al minimo le occasioni di contatto personale e privandoci di quei momenti di crescita e apprendimento determinati dalla sfida che comporta il mettersi davvero in gioco nel rapporto con l’altro.
Il rischio di non riuscire più a distinguere tra vita reale e vita virtuale, tra la persona che siamo e quella che abbiamo artificialmente costruito è, soprattutto per alcuni di noi, elevato e concreto.
Il pericolo non è mai nello strumento, ma nel come lo si utilizza. Partiamo dunque per il nostro viaggio oltre l’universo, ma ricordiamoci di tenere i piedi ben piantati a terra.
di Alessandra Schofield